Dimensioni: Altezza 77.5cm
Materiale: Marmo Rosa
Siamo al proemio della terza cantica. Dante si rivolge ad Apollo e ne invoca l’ispirazione.
Entra nel petto mio, e spira tue
sì come quando Marsia traesti
de la vagina de le membra sue.
In un contesto mistico, che culminerà al verso 70 con quel “trasumanar” che è uno dei più sorprendenti neologismi della storia letteraria, il poeta inserisce la tragica vicenda del satiro Marsia, exemplum morale di superbia punita.
Dai vertici apollineo-teologici della paradisiaca metafisica della luce, veniamo sprofondati di botto, con un procedimento tipicamente dantesco, in un sottobosco popolato da sub-umani fauni e satiri. Un mondo legato alla divinizzazione della terra-natura in preda a un culto panteistico tutto pagano della Magna Mater.
Il vertice e gli abissi, la luce e l’oscurità, il divino e il demoniaco: una dialettica affascinante che – il giovane Nietzsche docet – ha attraversato la classicità e che continua a inquietare i sogni del nostro post-moderno. Quello di Dante, nel modernissimo ipertesto della Commedia, è un dotto richiamo al maestro Ovidio. Qui siamo nel libro VI delle “Metamorfosi”, poema borgesiano, storia di tutte le storie, opera-mondo, pozzo di San Patrizio dell’immaginario.
Il satiro Marsia, “Tritoniaca harundine victum”, sopraffatto da Apollo nel suono del flauto, dopo avere osato innalzarsi al divino con smisurata hybris, viene punito: “Quid me mihi detrahis, perché strappi me a me stesso?”. E’ lo strazio infinito, è l’urlo espressionistico (il “clamanti” del verso 386) dell’uomo-fauno al quale “a fior delle membra fu strappata la pelle”. Direpta cutis. Grand Guignol dell’orrore: vulnus (ferita), cruor (sangue), nervi, venae, salientia viscera (viscere palpitanti) e perlucentes fibras. Orrore disperso metonimicamente di verso in verso, e, viceversa, concentrato da Dante nel sublime “traesti de la vagina de le membra sue”.
Marsia viene svaginato, tolto dal fodero della pelle, sdoppiato, strappato appunto a se stesso. “Et Satyri fratres et tunc quoque carus Olympus et nymphae flerunt”: un grande pianto cosmico, che coinvolge anche l’Olimpo e che, nell’imprevedibile teatro della Metamorfosi, si trasforma nell’acqua di un fiume.
Ermanno Morosi
Ciò che tuttavia colpisce in questi recenti lavori intorno a Marsia è la capacità dell’artista di muoversi agilmente tra diversi materiali, trasformando l’immagine in terracotta, in marmo, in bronzo, in alabastro. Siamo in presenza di un’operazione metamorfica sulla materia, prima ancora che sul tema, con un’operazione meta-artistica nella quale il fare riproduce e moltiplica il significato.